La terapia della parola che agisce come un farmaco
Dott. Leonardo Roberti, Psicologo, Psicoterapeuta
Il presente lavoro nasce come risposta allo scetticismo e al pregiudizio di quanti al giorno d’oggi ancora dubitano dell’efficacia della psicoterapia. “Dottore, mi sono rivolto a Lei ma non credo nella psicoterapia!”, “Non penso che quattro chiacchiere possano aiutarmi a risolvere i problemi, però ho anche paura a prendere dei farmaci!”, “Sono venuto solo per un parere, perché non voglio stare anni in terapia!”, queste ed altre critiche sono mosse quotidianamente alla psicologia e alla psicoterapia.
Parte della responsabilità è anche di noi psicoterapeuti che non ci impegniamo come dovremmo nel mantenerci al passo coi tempi e nel divulgare i progressi della conoscenza, rimanendo spesso ancorati a vecchi modelli teorici del fare psicoterapia, ormai superati e non scientificamente fondati.
L’ultima frontiera della psicoterapia odierna è la neuropsicoterapia (Grawe, 2007), un approccio terapeutico integrato tra neuroscienze, neurobiologia interpersonale e psicoterapia cognitivo-comportamentale. La neuropsicoterapia, come vedremo, modifica i processi psicologici della mente e quelli neurologici del cervello, con la stessa efficacia di un farmaco ma senza effetti collaterali.
Cos’è la neuropsicoterapia?
La neuropsicoterapia è una psicoterapia fondata e costantemente aggiornata sulle più recenti ricerche neuroscientifiche. Non vuole essere una nuova scuola di pensiero ma semplicemente un modo di fare psicoterapia che, grazie al dialogo continuo con la medicina (biologia e neurologia in particolare), consente di curare il disagio mentale con efficacia e in tempi rapidi.
La neuropsicoterapia si integra perfettamente con le tecniche evidence-based (cioè basate su prove di efficacia sperimentale) della psicoterapia cognitivo-comportamentale, senza tuttavia escludere l’uso di altre pratiche psicoterapiche che negli anni hanno dimostrato la loro validità scientifica. In ultimo, la neuropsicoterapia fonda il suo operato sulla concezione della mente adottata dalla neurobiologia interpersonale, definita come “un processo emergente e auto-organizzante del sistema nervoso e delle relazioni interpersonali. Un processo incarnato (cioè fisico, derivante dal cervello) e relazionale che regola i flussi di energia e di informazioni” (Siegel, 2013). Tale epistemologia permette alla psicoterapia di compiere un rivoluzionario salto in avanti verso un’operatività flessibile, puntuale e integrata. Così il neuro-psicoterapeuta ha a disposizione una più ampia gamma di tecniche tra cui scegliere (flessibilità), da poter applicare a quel determinato paziente in base al suo funzionamento mentale, fisico e relazionale in quel particolare momento di vita (puntualità), basate su un bagaglio conoscenze scientifiche multidisciplinari (integrazione).
Le reti neurali (o stati della mente)che sono alla base del nostro funzionamento psichico, sono create dall’interazione tra il nostro cervello e l’ambiente sociale. All’interno dei pattern neurali si depositano le memorie implicite ed autobiografiche della nostra vita, costituite da emozioni, risposte fisiologiche, modi di pensare e di agire che nell’arco degli anni si sono sedimentate fino a formare la nostra personalità. La patologia mentale deriva da una mancata integrazione neurale questi stati della mente l’ambiente interno (le diverse aree del cervello) e quello esterno (le esperienze di vita e le relazioni interpersonali). La neuropsicoterapia modifica i network neurali che costringono l’individuo in uno stato di sofferenza e lo fa attraverso l’uso della parola. La parola, come un farmaco, agisce in maniera mirata sugli stati della mente e produce benessere, provocando cambiamenti a lungo termine sulla biochimica del cervello e, addirittura, sulla genetica.
Negli ultimi decenni stanno aumentando in maniera esponenziale le ricerche scientifiche che provano l’efficacia della psicoterapia. Ciò è principalmente dovuto al progresso di sofisticate tecniche di neuroimaging (Risonanza Magnetica Funzionale, Tomografia a Emissione di Positroni, etc.) che in maniera approfondita e fedele mostrano cosa accade nelle diverse aree del nostro cervello sia in situazioni di benessere che in situazioni di stress psicofisico. Le più recenti scoperte enfatizzano la plasticità del cervello, le continue possibilità di neurogenesi ed epigenesi di cui sono portatrici le esperienze di vita di ciascuno di noi, attraverso l’interazione costante tra il corpo, la mente e le relazioni interpersonali.
La neuropsicoterapia agisce apportando un miglioramento della plasticità cerebrale attraverso la creazione di nuove cellule nervose (neurogenesi) e di nuove “memorie” che vanno a sostituire quelle vecchie e danneggiate da esperienze negative o traumatiche (Van Praag et al., 2002). Non solo, la neuropsicoterapia influenza direttamente l’espressione genica (epigenesi) e quindi la costruzione, il mantenimento e il rafforzamento dei collegamenti che formano il substrato neurale della nostra mente (Siegel, 2013). Tali modificazioni genetiche, indotte dalla neuropsicoterapia, vengono trasmesse alle generazioni successive attraverso alterazioni delle molecole regolatorie che controllano l’espressione dei geni, negli spermatozoi o nelle cellule uovo (Meaney, 2010; Sweatt, 2009; Ogren, Lombroso, 2008).
Come abbiamo già detto, la neuropsicoterapia non è una nuova scuola di pensiero ma un modo più moderno di concepire la psicoterapia, ancorandola alle evidenze empiriche delle neuroscienze che in maniera oggettiva ne dimostrano gli effetti, e utilizzando queste come punto di partenza per implementare pratiche di cura sempre migliori. Quindi, la neuropsicoterapia non è una tecnica di intervento ma prende a prestito molteplici tecniche psicoterapiche da diversi orientamenti teorici, in base all’efficacia che queste hanno dimostrato scientificamente.
C’è di più, la neuropsicoterapia cura la mente come un farmaco! Disturbi d’ansia, attacchi di panico, ossessioni e compulsioni, fobie specifiche, depressione, disturbi post traumatici da stress, schizofrenia e altre patologie mentali trovano oggi una soluzione efficace ed in tempi rapidi grazie alle scoperte delle neuroscienze.
Riportiamo a sostegno di ciò alcuni dei tanti studi di neuroimaging che comparano gli effetti delle psicoterapie e quelli dei farmaci sul cervello.
DIAGNOSI e TRATTAMENTO |
RISULTATO |
DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO
Terapia comportamentale vs. Fluoxetina
Terapia comportamentale vs. controlli
Terapia cognitivo-comportamentale
Terapia cognitivo-comportamentale e Fluoxetina |
Entrambi: diminuzione del metabolismo nel nucleo caudato destro. Terapia comportamentale: attivazione della corteccia pre- frontale orbitomediale sinistra correlata con risposta positiva. Fluoxetina: cambiamenti nella direzione opposta.
Diminuzione del flusso sanguigno cerebrale nel nucleo caudato destro.
Diminuzione del metabolismo nel nucleo caudato destro.
Aumento della materia grigia bilaterale. Aumento della materia bianca parietale destra. |
FOBIA SOCIALE
Terapia cognitivo-comportamentale vs. Citalopram |
Entrambi: diminuzione dell’attivazione dell’amigdala, dell’ippocampo e della corteccia adiacente. Terapia cognitivo-comportamentale: diminuzione dell’attivazione della sostanza grigia periacqueduttale. Citalopram: diminuzione dell’attivazione talamica. |
ARACNOFOBIA
Terapia cognitivo-comportamentale |
Diminuzione dell’attivazione nel giro paraippocampale e nella corteccia prefrontale dorsolaterale. Diminuzione dell’attivazione della corteccia prefrontale nell’emisfero destro. Diminuzione dell’attivazione nella corteccia insulare e nella corteccia cingolata anteriore . |
DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS
Desensibilizzazione del movimento degli occhi e rielaborazione (case study) |
Aumento dell’attivazione nella corteccia cingolata anteriore e nel lobo frontale sinistro. |
DISTURBO DA ATTACCHI DI PANICO
Terapia cognitivo-comportamentale vs. Antidepressivi
Terapia cognitivo-comportamentale |
Terapia cognitivo-comportamentale: RH diminuisce nelle regioni inferiori temporale e frontale. LH aumenta nella corteccia frontale inferiore, temporale mediale e nell’insula. Antidepressivi: RH diminuisce nei lobi frontali e temporali LH aumenta nei lobi frontali e temporali.
Diminuzione dell’attivazione nell’ippocampo destro, nella corteccia cingolata anteriore sinistra, cervelletto sinistro e ponte. Aumento dell’attivazione nella corteccia prefrontale mediale. |
DEPRESSIONE
Terapia cognitivo-comportamentale vs. paroxetina
Terapia cognitivo-comportamentale vs. venlafaxina
Terapia interpersonale vs. venlafaxina
Terapia interpersonale vs. paroxetina |
Terapia cognitivo-comportamentale: diminuisce l’attivazione frontale / incrementa l’attivazione limbica. Paroxetina: cambiamenti nella direzione opposta.
Entrambe: diminuzione dell’attivazione nella corteccia prefrontale orbitale e nella corteccia prefrontale mediale; aumento dell’attivazione nella corteccia occipito temporale destra.
Terapia interpersonale: aumento dell’attivazione nel cingolato posteriore destro e nei gangli della base Venlafaxina: aumento dell’attivazione nel lobo temporale posteriore destro e nei gangli della base.
Entrambe: diminuzione dell’attivazione nella corteccia prefrontale. Entrambe: aumento dell’attivazione nel lobo temporale inferiore e nell’insula. Entrambe: riduzione del sintomo con diminuzione dell’attivazione frontale. |
SCHIZOFRENIA
Riabilitazione cognitiva
|
Aumento dell’attivazione frontale con performance migliorata. Aumento dell’attivazione nella corteccia frontale inferiore destra e nel lobo occipitale. |
FOBIA SOCIALE
Terapia cognitivo-comportamentale vs. Citalopram |
Entrambi: diminuzione dell’attivazione dell’amigdala, dell’ippocampo e della corteccia adiacente. Terapia cognitivo-comportamentale: diminuzione dell’attivazione della sostanza grigia periacqueduttale. Citalopram: diminuzione dell’attivazione talamica. |
ARACNOFOBIA
Terapia cognitivo-comportamentale |
Diminuzione dell’attivazione nel giro paraippocampale e nella corteccia prefrontale dorsolaterale. Diminuzione dell’attivazione della corteccia prefrontale nell’emisfero destro. Diminuzione dell’attivazione nella corteccia insulare e nella corteccia cingolata anteriore . |
DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS
Desensibilizzazione del movimento degli occhi e rielaborazione (case study) |
Aumento dell’attivazione nella corteccia cingolata anteriore e nel lobo frontale sinistro. |
DISTURBO DA ATTACCHI DI PANICO
Terapia cognitivo-comportamentale vs. Antidepressivi
Terapia cognitivo-comportamentale |
Terapia cognitivo-comportamentale: RH diminuisce nelle regioni inferiori temporale e frontale. LH aumenta nella corteccia frontale inferiore, temporale mediale e nell’insula. Antidepressivi: RH diminuisce nei lobi frontali e temporali LH aumenta nei lobi frontali e temporali.
Diminuzione dell’attivazione nell’ippocampo destro, nella corteccia cingolata anteriore sinistra, cervelletto sinistro e ponte. Aumento dell’attivazione nella corteccia prefrontale mediale. |
DEPRESSIONE
Terapia cognitivo-comportamentale vs. paroxetina
Terapia cognitivo-comportamentale vs. venlafaxina
Terapia interpersonale vs. venlafaxina
Terapia interpersonale vs. paroxetina |
Terapia cognitivo-comportamentale: diminuisce l’attivazione frontale / incrementa l’attivazione limbica. Paroxetina: cambiamenti nella direzione opposta.
Entrambe: diminuzione dell’attivazione nella corteccia prefrontale orbitale e nella corteccia prefrontale mediale; aumento dell’attivazione nella corteccia occipito temporale destra.
Terapia interpersonale: aumento dell’attivazione nel cingolato posteriore destro e nei gangli della base Venlafaxina: aumento dell’attivazione nel lobo temporale posteriore destro e nei gangli della base.
Entrambe: diminuzione dell’attivazione nella corteccia prefrontale. Entrambe: aumento dell’attivazione nel lobo temporale inferiore e nell’insula. Entrambe: riduzione del sintomo con diminuzione dell’attivazione frontale. |
SCHIZOFRENIA
Riabilitazione cognitiva
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Aumento dell’attivazione frontale con performance migliorata. Aumento dell’attivazione nella corteccia frontale inferiore destra e nel lobo occipitale. |
(Tratto da Cozolino, 2010).
In una ricerca (Bellamoli E., Alessandrini F., Zoccatelli G.) è stato osservato che soggetti con fobia sociale sottoposti a una prova stimolo specifica (fare un discorso in pubblico), presentano un aumento dell’attività cerebrale a livello di amigdala e ippocampo, aumento che si normalizza dopo un percorso di psicoterapia (Furmark T et al., 2002). Furmark e collaboratori (2002) hanno riscontrato la stessa normalizzazione a livello dell’amigdala anche nei soggetti sottoposti, con successo, a una terapia farmacologica con l’SSRI citalopram (Figura 1).
Figura 1 – Effetti della psicoterapia o del trattamento con Citalopram sull’attività cerebrale di pazienti con fobia sociale esposti a uno specifico stimolo fobico (fare un discorso in pubblico). La psicoterapia (sinistra) e quella con Citalopram (destra) sono entrambe associate a una diminuzione dell’attività dell’amigdala rispetto a quella osservata durante l’esposizione allo stimolo fobico prima del trattamento. Nella figura sono evidenziate le aree che mostrano una significativa variazione dell’attività nel confronto pre e post-trattamento realizzate con tecnica PET. Fonte: Furmark T et al., 2002.
Per quanto riguarda i disturbi depressivi, ad esempio, si è visto che un trattamento di 12 settimane con psicoterapia interpersonale o con l’SSRI paroxetina, porta ad una riduzione del metabolismo a livello della corteccia prefrontale, corrispondente al miglioramento clinico dei sintomi depressivi (Brody AL et al., 2001).
Un altro studio (Martin SD et al., 2001) ha invece evidenziato delle differenze a vantaggio della psicoterapia rispetto al farmaco: mentre i pazienti trattati farmacologicamente presentano un aumento del flusso ematico cerebrale a livello dei gangli della base e della corteccia temporale superiore di destra, quelli trattati con psicoterapia presentano un aumento del flusso ematico anche a livello delle regioni limbiche di destra (Figura 2). Un’altra ricerca (Schiepek G, Tominschek I, Heinzel S, Aigner M, Dold M, et al., 2013), mostra come la psicoterapia normalizza l’attivazione di quei pattern neurali che sono iperstimolati nel disturbo ossessivo compulsivo (Figura 3).
Centinaia di ricerche sono tutt’ora in corso per mettere in luce come la psicoterapia influenza la plasticità cerebrale portando a cambiamenti radicali nella vita di ciascuno di noi.
Figura 2 (a destra) – Studio SPECT che confronta soggetti con depressione maggiore trattati con psicoterapia a breve termine e soggetti trattati con il farmaco antidepressivo venlafaxina per un periodo di 6 settimane. Tutti i soggetti hanno ottenuto un miglioramento clinico significativo. Entrambi i trattamenti inducono un aumento del flusso ematico a livello dei gangli della base mentre solo la psicoterapia induce un aumento del flusso ematico a livello limbico destro. Nella Figura, la parte superiore si riferisce ai pazienti trattati con venlafaxina (n=15): essi mostrano un’attivazione a livello dei gangli della base di destra e della corteccia temporale posteriore destra.
La parte inferiore si riferisce ai pazienti trattati con psicoterapia (n=13) che mostrano un’attivazione a livello dei gangli della base di destra e della corteccia del cingolo posteriore di destra. Fonte: Martin SD et al., 2001.
Figura 3 (a sinistra) – La figura mostra l’attivazione di pattern neurali in pazienti affetti da disturbo ossessivo compulsivo attraverso la fMRI. Alla destra di ciascuna freccia viene mostrata la sezione del cervello dopo il trattamento psicoterapico.
La neuropsicoterapia non ha effetti collaterali. Il rischio presente nelle vecchie forme di psicoterapia, la possibilità cioè che possa instaurarsi un rapporto di dipendenza psicologica da parte del paziente nei confronti del terapeuta, è davvero scarso, perché la durata del percorso terapeutico nell’ottica della neuropsicoterapia è breve. Non c’è inoltre alcuna controindicazione né vi sono i possibili effetti collaterali che un farmaco può dare: lo strumento di intervento cardine della neuropsicoterapia è la parola. L’unico effetto negativo può risiedere nell’inefficacia del trattamento a causa della scarsa professionalità del terapeuta o dell’abbandono del percorso terapeutico da parte del paziente prima che possa cominciarne a vedere i benefici.
La neuropsicoterapia dà benefici a lungo termine. Ciò vuol dire che terminato il percorso terapeutico non si attiveranno mai più quei pattern neurali che generavano sofferenza.
La durata del percorso terapeutico viene definita durante i primi incontri attraverso l’utilizzo di specifici test psicologici che valutano il funzionamento cognitivo-emotivo del paziente e la sua personalità. Non sono contemplati percorsi lunghi e costosi che costringono il paziente rimanere anni in terapia, parliamo oggi di percorsi brevi e mirati al problema. Le informazioni rilevate con i test danno un’idea precisa del numero di incontri necessari e della frequenza delle sedute. Un numero medio di incontri è di 12 con cadenza settimanale o quindicinale.
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Bibliografia
Bellamoli E., Alessandrini F., Zoccatelli G. (2012), L’applicazione del neuroimaging per valutare gli effetti neurobiologici degli interventi terapeutici. In http://issuu.com/dipartimentodipendenzeverona/docs/brochure_neuroscienze#
Brody A.L, Saxena S., Stoessel P., Gillies L.A., Fairbanks L.A., et al. (2001) Regional metabolic changes in pa- tients with major depression treated with either paroxetine or interpersonal therapy. Archives of General Psychiatry 58 631-640.
Cozolino, L. (2010), The Neuroscience of Psychotherapy: Healing the Social Brain. W. W. Norton & Company.
Furmark T, Tillfors M, Marteinsdottir I, Fischer H, Pissiota A, Langstrom B, Fredrikson M (2002) Common changes in cerebral blood flow in patients with social phobia treated with citalopram or cognitive-behavioral therapy. Arch Gen Psychiatry 59:425–433.
Grawe, K. (2007). Neuropsychotherapy: How the Neurosciences Inform Effective Psychotherapy (1st ed.). Routledge.
Martin SD, Martin E, Rai SS, Richardson MA, Royall R. Brain blood flow changes in depressed patients treated with interpersonal psychotherapy or venlafaxine hydrochloride: preliminary findings. Arch Gen Psychiatry. 2001 Jul;58(7):641-8.
Meaney, M.J. (2010), “Epigenetics and the biological definition of gene x environment interactions”. In Child Development, 81, 1, pp.41-79.
Ogren, M.P., Lombroso, P.J. (2008), “Epigenetics: Behavioral influences on gene function. Part I. Maternal behavior permanently affetcs adult behavior in offspring”. In Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 47, 3, pp. 240-244.
Schiepek G, Tominschek I, Heinzel S, Aigner M, Dold M, et al. (2013) Discontinuous Patterns of Brain Activation in the Psychotherapy Process of Obsessive-Compulsive Disorder: Converging Results from Repeated fMRI and Daily Self-Reports.
Siegel, D. J. (2013), La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale. Raffaello Cortina, Milano.
Sweatt, J.D. (2009), “Experience-dependent epigenetic modifications in the central nervous system”. In Biological Psychiatry, 65, 3, pp.191-197.
Van Praag, H., Schinder, A. F., Christie, B., R., Toni, N., Palmer, T. D. & Gage, F. H., (2002). Functionals neurogenesis in the adult hippocampus. Nature, 415, 1030-1034.